1 luglio 2016. - In tale data la Congregazione delle Cause dei Santi ha emesso il Decreto di Validità della Causa di beatificazione del Servo di Dio Raffaele Gentile. Ora si passa alla costruzione della Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis

giovedì 11 luglio 2013

19. L' HUMANITAS di RAFFAELE GENTILE






Saluti “devoti” agli Ecc.mi Arcivescovi, Saluti “deferenti” a tutti i convenuti

Saluti “affettuosi” alla dolcissima Consorte la Sposa del Dott. Gentile e alle dilette Figlie la Sig.na Maria e la Sig.na Elisa.


Parlare di Humanitas del dott. Gentile. Mi viene subito in mente S. Paolo: “Apparuit nobis benignitas et humanitas”, e partendo da qui che si può cogliere, accanto all’aspetto dell’homo vivens, dell’homo sapiens, dell’homo loquens, anche quello dell’homo miserans o del misericors homo. Ed è proprio così che vorrei intitolare questa brevissima riflessione-testimonianza di oggi: IL DOTT. GENTILE, MISERICORS HOMO, in TEMPO DI EMPIETA’.

E, si, purtroppo è innegabile che ci troviamo oggi davanti a un radicale cambiamento di epoca, e dentro un profondo disagio della civiltà.

Sul piano scientifico, le meraviglie del mondo si manifestano sempre più aperte all’ulteriore e spingono a visualizzare il mondo come una indefinita meraviglia sia nel micro che nel macro cosmo. Il dominio del mondo è a portata di mano. Conoscere è potere.

Sul piano spirituale è avvenuta una defenestrazione di Dio. Il Dio dell’uomo, per l’uomo, tra gli uomini, rivelato da Gesù Cristo, è stato sostituito dall’uomo-dio, onnisciente, onnipotente, onnipresente. Dio è stato “emarginato” non in virtù di un ateismo razionale, pur accettabile dal punto di vista ideologico, ma in virtù di un ateismo dell’indifferenza, che esclude dal pensiero e dall’azione la domanda su Dio, ossia, l’uomo contemporaneo crede di poter vivere “senza Dio”. Il materialismo strisciante, il macchinismo e consumismo, il narcisismo ed il nichilismo, il neo radicalismo e il relativismo, hanno preso il sopravvento sul primato di Dio e della vita spirituale. Da qui tante contraddizioni e contraffazioni, oppressioni e mistificazioni.

Sul piano sociale la morte della cultura, l’emorragia dei valori, la povertà o l’inesistenza della vita spirituale, il vuoto d’essere della coscienza collettiva, hanno sottoprodotto la cultura della morte. La tendenza di morte, sempre latente nel profondo del cuore dell’uomo, scoppia oggi a causa dell’individualismo, dell’arrivismo, dell’indefferentismo. Si crea, così, una cultura di necrofilia, che attenua le pur potenti cariche di biofilia presenti nella storia. E dare morte è empietà, cioè l’antitesi della pietas o compassione, un’empietà che si manifesta anche come crudeltà verso i deboli e vigliaccheria verso i forti.


Ed è proprio in questo contesto che si delinea la necessità dell’azione-contemplazione del cristiano che deve essere capace di arricchire e potenziare l’homo sapiens come misericors homo. E il dott. Gentile è mirabile esempio e maestro. Il dott. Gentile si mosse nell’orizzonte della visione cristiana dei valori, ove la concezione della compassione viene riferita alla fede operante mediante l’amore e alle opere di misericordia che saranno l’oggetto dell’esame del giudizio definitivo, circa l’autentico funzionamento dell’essere uomo che è l’uomo misericordioso, creato a immagine di Dio misericordioso.

Egli, ricollocò la compassione al centro del significato religioso della vita e trovò nella pietas cristiana l’espressione massima dell’iconicità con quel Dio “che decise di incarnarsi per poter veramente avere misericordia degli uomini” (Kierkegaard). E paradossalmente avvenne in lui un’assenza della compassione, perché il contatto con la sofferenza divenne contagio della sofferenza e non fu più del malato o del paziente, ma la sua!

Su questa linea possiamo affermare che compassione è capacità di patire con l’altro perché si patisce nell’altro.

Patire-con è solidarizzare con chi è segnato dal dolore che, alla soglia della consapevolezza, diventa sofferenza. Questa attitudine è un fare. E il cristiano, oggi è chiamato a sostituire la tracotanza del logos con l’umiltà e il calore del pathos. Come? Dandosi da fare per

Alleviare,

confortare,

consolare,

un essere umano nella condizione dell’angustia.


  • Alleviare, come ad-levare, è proprio sollevare nel senso di farsi carico dei suoi pesi e portarli con lui lungo l’erta dell’esistenza.
  • Con-fortare è collaborare a energizzare il soggetto che si sente schiacciato e indebolito nell’essere.
  • Con-solare è riempire gli spazi vuoti di chi si sente solo.
Si tratta, dunque, sempre di un soggetto prostrato, fragilizzato o desolato. Ma ogni fare umano, come ogni sentire, ha la sua radice in una struttura d’essere che è quella dell’amore, non tanto come virtù, ma come attitudine radicale. Il papa Giovanni Paolo II, parla dell’amore come “l’atto che realizza nel modo più completo l’esistenza della persona”.


Orbene, l’amore umano, proprio in quanto si impatta con l’esser-ci che dice limite, miseria, struttura agapica misericordiosa. A questo punto si disvela l’aspetto misericorde dell’uomo. È lo homo miserans, modulazione dell’homo sapiens. Così quando si coglie il fare compassionevole come profluente dall’essere compassionevole, si ha il passaggio all’eleos che è caratteristica specifica dell’uomo cristiano, anzi cristico, che testimonia con coraggio e tenerezza il primo titolo di Dio attribuito dalla santa Scrittura.


Nel dott. Gentile l’homo miserans, ad immagine e somiglianza di Dio miserans, si esplicitò

come attenzione, in quanto capacità di sostare davanti alle miserie e non tirare avanti con indifferenza.

Come comprensione, in quanto tensione a mettersi nei panni laceri dell’essere dell’altro, provato dalle disavventure della vita.

Come remissione, in quanto superamento dei blocchi di coscienza, dovuti a pregiudizi, a mancanza di esercizio o a torti subiti determinanti il rifugio nell’alcova del proprio ego.

Come dedizione, che è l’impostazione del proprio agire morale attorno alle opere di misericordia.


La coltivazione delle attitudini di attenzione, intuizione, dedizione, comprensione, in un rapporto improntato alla delicatezza, all’amorevolezza, alla piacevolezza, alla concretezza, è cultura della tenerezza.


Il dott. Gentile, homo miserans, nel tempo dell’empietà ci insegna

la cultura della tenerezza, come stile permanente dei singoli e della comunità, rivolto al rispetto dei rapporti, al servizio operoso, al senso ludico e comunitario della vita, all’azione radicata nella contemplazione.

Cultura della tenerezza è vivere la vita come cammino nell’amicizia e nell’allargamento degli spazi di essa, all’insegna della gratuità e della generosità. Tutto questo in ordine alla rifondazione di comunità liete e operose, progettuali e creative.


Essere compassionevole e cultura della tenerezza, due insegnamenti-testimonianze del Dott. Gentile, uomo e cristiano, conditio sine qua non per la sopravvivenza della specie. E presupposti indispensabili per una società di persone responsabili, intente a preparare le strutture portanti della città dell’uomo.



                                                                                                          Don Angelo Comito

                                                                                              Direttore della Caritas Diocesana

                                                                                                                      Catanzaro

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