1 luglio 2016. - In tale data la Congregazione delle Cause dei Santi ha emesso il Decreto di Validità della Causa di beatificazione del Servo di Dio Raffaele Gentile. Ora si passa alla costruzione della Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis

martedì 9 luglio 2013

7. RAFFAELE GENTILE "DEFENSOR HOMINIS"

Relazione di S. E. Rev.ma Mons. Vincenzo Bertolone  - (film)
Catanzaro, Aula Sancti Petri,  Secondo Convegno "Humanitas", 26 novembre 2011

UNA VITA PER AMORE
Il culmine delle attitudini umane indicato dall’antropologia filosofica è la capacità di amare. Essa appare come la stessa struttura costitutiva dell’essere umano in tutti gli ambiti e a tutti i livelli: nelle varie forme e interpretazioni della vita, nelle scienze della formazione del soggetto umano, nella teologia spirituale, che ha, come suo asse, l’amore infuso dallo Spirito nei cuori (cfr. Rm 5,5), nella teologia morale, il cui comandamento supremo è: «Amatevi come io ho amato voi» (cfr. Gv 13,34).
Per questo una vita, totalmente, spesa per amore è consolante. Una vita per amore: questo è il titolo dei due volumi, articolati in due settori: Pensiero e Testimonianze, curati da mons. R. Facciolo insieme alla famiglia Gentile e presentati il 18 dicembre 2006 presso l’aula magna del Seminario Teologico Regionale «S. Pio X» di Catanzaro[1]. In essi possiamo cogliere un flash sulla vita e sul pensiero del dott. Raffaele Gentile († 18.12.2004), medico catanzarese di origine friuliana, «vero angelo dei malati» (F. Bonacci), apostolo e testimone della fede, che ha incarnato al meglio, a parere di molti che gli sono stati vicini, la figura del «laico cristiano».
Dall’ampia gamma dei dati  pubblicati nell’opera sopra nominata e da quelli presentati al 1° Convegno Tra memoria e profezia, promosso dal Comitato Scientifico Studi e Ricerche Raffaele Gentile, svoltosi il 18 dicembre 2010 nell’auditorium Sancti Petri dell’Arcivescovado di Catanzaro, emerge una figura di alto livello sul piano professionale, (per circa cinquant’anni ha ricoperto incarichi di vertice in molteplici settori della sanità pubblica e del privato no profit), su quello sociale e politico e su quello dell’impegno cattolico nella diocesi (collaboratore dei tre vescovi: G. Fiorentini, A. Fares e A. Cantisani).
A noi, posteri, ha lasciato un messaggio di inestimabile valore, felicemente condensato da mons. A. Ciliberti, nella frase: «La vita ha un senso se è amore e amore vuol dire donarsi»[2], che, a mio avviso, dà la misura della grandezza e dell’attualità del dott. Gentile e nello stesso tempo esprime – nel panorama culturale contemporaneo, in cui prevale la visione dell’amore «liquido»[3] – una vera e propria urgenza.
San Giuseppe Moscati
Antonio Lombardi
Affascinato dall’operato di san Giuseppe Moscati († 1927), medico, studioso e docente, e attratto dall’umanità del servo di Dio A. Lombardi († 1950), filosofo attento a coniugare l’impegno culturale con una grande attenzione agli ultimi, gli emarginati e gli indifesi, ha saputo dare la risposta coinvolgente del suo essere dentro la storia catanzarese «con amore e per amore: per costruire la civiltà dell’amore»[4].
La mia gratitudine va tutti coloro che, finora, hanno svolto il lavoro di scoperta di tutti gli scritti e di tutte le tracce della vita e del pensiero del dott. Gentile e hanno condotto indagini sui suoi epistolari, quaderni e diari, per comprendere anche le radici culturali e gli orientamenti dottrinali del suo percorso formativo. …per  riscoprire ed affrontare i grandi temi dell’humanitas, che possono denominarsi relazione, prossimità, reciprocità, gratuità.  Sono questi i “pilastri” del vissuto personale e interpersonale del dott. Gentile, elementi distintivi per ripensare anche alle nostre relazioni umane.
La sua suggestiva figura offre tanti spunti di possibili approcci e apre tante piste e spiragli per ulteriori riproposizioni, reimpostazioni, approfondimenti. Indubbiamente, il filo conduttore e la chiave di accesso alla personalità del Nostro, «connotata dalla mirabile convergenza di valori umani, professionali e spirituali e da un’irrefrenabile bisogno di inserirsi nella storia della città, con un quotidiano impegno nell’esaltazione della dignità dell’uomo e nella costruzione del bene comune, in una grande prospettiva profetica»[5], è l’amore inteso come dono di sé[6].
Lo stesso itinerario esistenziale del dott. Gentile ne rappresenta la conferma straordinaria. Come medico professionista, avvezzo alle sofferenze fisiche e psichiche dell’uomo, avrebbe potuto fare il “callo” al dolore, lasciare in ambulatorio le sofferenze altrui o distaccarsene. Egli, invece, con grande passione ha svolto il suo ruolo di «servo» di questi «ultimi» (così considerava i suoi assistiti), in sordina e con sincera umiltà, non aspettandosi particolari riconoscimenti, conscio che si è più appagati nel dare che nel ricevere.
Per meglio definire il tratto umano del dott. Gentile è doveroso attingere alle testimonianze di coloro che ne hanno condiviso appieno gioie e dolori, ansie e delusioni, amarezze e gratificazioni nell’arco della sua vita. lavoro, se quel paziente era un suo assistito o no e, pronto a qualsiasi chiamata, portava sempre con sé parole di conforto e di speranza, nascondendo la sua stanchezza. Per lui il povero, il bisognoso, il derelitto della società era prima di tutto un uomo, che aveva bisogno di cure ed attenzione così come il ricco, il benestante, perché davanti a Dio non c’è distinzione: siamo tutti fratelli.
Il fratello Camillo, Susy, Elisa, Mons. Bertolone, Maria
Sono questi i suoi familiari più stretti: la moglie Susy e le figlie Maria ed Elisa, che meglio di tutti possono “dire” chi è stato il dott. Gentile. «Il suo mondo prediletto – scrive la figlia Maria - era quello dei poveri, degli abbandonati, degli emarginati, nei quali riusciva ad intravedere il volto stesso di Gesù e che, fin da giovane medico, aveva sempre difeso e sostenuto con le sue prestazioni gratuite, il suo costante servizio, senza badare ad alcuna distinzione tra giorno feriale e giorno festivo, ai turni di lavoro, se quel paziente era un suo assistito o no e, pronto a qualsiasi chiamata, portava sempre con sé parole di conforto e di speranza, nascondendo la sua stanchezza. Per lui il povero, il bisognoso, il derelitto della società era prima di tutto un uomo, che aveva bisogno di cure ed attenzione così come il ricco, il benestante, perché davanti a Dio non c’è distinzione: siamo tutti fratelli.
E lui, a coloro che chiedevano aiuto, che bussavano alla porta del suo cuore, non ha mai saputo dire di no, non si è mai tirato indietro, anzi, ha spalancato la porta e, con animo umile, ha sempre cercato di alleviare il più possibile le sofferenze, non solo dando il suo contributo come medico, ma anche, soprattutto, come uomo.
E come uomo poteva rimanere indifferente, insensibile dinnanzi alla miseria che, specie durante la guerra e negli anni successivi, regnava in alcuni quartieri di Catanzaro? È vero: la ‘mano’ di Dio opera proprio nei luoghi più miseri, nei posti più abbandonati e sperduti e tutto questo per far comprendere all’uomo non solo la sua enorme grandezza e la sua infinita bontà, ma anche che proprio là, dove c’è miseria e abbandono, Lui è sempre presente e che, dalle più cupe tenebre, dalla desolazione più squallida, la Provvidenza può far sorgere quella ‘luce’ che è in grado d’illuminare ed inondare di grazie chi, avvolto dalla fede, lavora onestamente e con cuore umile. E così ‘baciata’ e ‘sorretta’ dalla grazia divina proprio nel rione più povero ed abbandonato di Catanzaro il 26 Luglio 1944, nel silenzio, nell’umiltà, nella povertà e senza reclame, nasce l’Opera Pia ‘In Charitate Christi’, oggi ‘Fondazione Betania Onlus’, importantissima opera assistenziale del Mezzogiorno, che, per papà, è stata la ninfa vitale di tutta la sua esistenza. (…) Unica tua debolezza: quella tua ‘attenzione’ verso i poveri, verso i bisognosi, verso i ‘rifiutati’ dalla nostra società, verso ‘gli ultimi degli ultimi’, come tu solevi chiamarli; vivendo giorno dopo giorno accanto a loro, sei stato testimone di quella fede cristiana, che riesce a superare qualsiasi barriera, quella fede che è in grado di elevare quel canto meraviglioso, che nasce solo da un cuore nobile e puro, il cuore che riesce a trovare maggiore forza in quell’amore incondizionato che, alla fine della nostra vita terrena, sarà la fonte della nostra ricompensa: ‘Alla fine della vita, sarete giudicati dall’amore’» (Una vita ..., II, 27-28, 69-70).
Alla testimonianza della figlia Maria noi possiamo solo inchinarci e, al limite, affermare che sì, guarire un corpo è lo scopo di un medico coscienzioso, ma farsi ‘carico’, con infinita bontà, dell’umanità sofferente e sventurata, dei fratelli diseredati e rinnegati, degli emarginati della società «priva di cuore», cercare di lenire il loro dolore, asciugare le loro lacrime, accompagnare un tratto della loro «salita» al Golgota, è aderire ad una delle più alte visioni dell’uomo nella storia: il “comandamento nuovo”.
Inoltre, egli aveva compreso che occorreva prestare ai connotati psichici ed interpersonali la stessa attenzione prestata a quelli fisiologici e individuali: l’assistenza è una relazione che considera la totalità dell’essere umano, la persona nella pienezza delle sue dimensioni. In questa totalità, la dimensione spirituale ha la sua importanza: ritiene infatti che “l’azione non può limitarsi alla sola funzione terapeutica, ma deve sapere guidare laddove si intravedono problemi di ordine spirituale o dove tali problemi, sia pure in maniera elementare, possano essere guidati o indirizzati nel senso dei valori e della vera concezione della vita”[7].
Questa è stata la scelta di vita del dott. Gentile, non scevra di ostacoli, che si presentavano puntuali sulla sua strada. Il suo Golgota era la «Croce accettata» – che sorprendentemente lo portava e lo rendeva dono agli altri.

Relazionalità e reciprocità personale
Auspico soprattutto che, in sintonia con la sensibilità del Dr. Raffaele Gentile verso l’altro, in particolare  verso l’uomo sofferente - «l’immagine del Cristo che, caricato della croce, sale il Golgota» -, sia possibile ripensare e rilanciare l’idea della relazionalità e della reciprocità personale.  Questi caratteri sono quel quid che distingue l’uomo dal regno animale e lo specifica. Inscritta nella sua natura c’è non soltanto razionalità e libertà, ma anche tensione verso l’altro, esigenza di reciprocità personale.
Le tappe fondamentali dell’esercizio delle capacità relazionale dell’uomo sono: il riconoscimento, la conoscenza e la comprensione reciproca. È necessario riconoscere l’altro nella sua umanità in quanto uomo e in quanto persona in reciprocità; conoscerlo in maniera adeguata, senza pregiudizi, accettando la sua diversità e la sua novità; abbracciarlo autenticamente e profondamente entrando in dialogo e in comunione con lui in un “infinito” processo di comprensione reciproca, condivisione, pathos di carità, compassione, affettività, tenerezza[8]. Possiamo chiederci: Come ha vissuto il Dr. Gentile le sue relazioni con gli altri e con Dio?
L'Opera Pia
Aveva grande rispetto, amore e tenerezza per la vita, dono divino. Questi sentimenti lo indussero a fondare quella che probabilmente è stata la creatura più cara della sua vita: l’Opera Pia “In Charitate Christi”, della quale è stato direttore sanitario dal 1946 al 1986, spendendovi quotidianamente il meglio delle sue energie. Egli sapeva che questa grande istituzione era nata dalla Divina Provvidenza, che si era servita di grandi sacerdoti, laici e laiche illuminate. Scrive in maniera commossa: “Scorrendo gli anni ormai lontani di questa primitiva attività caritativa, che senza aiuti concreti e continui, cresceva e si sviluppava, senza mai respingere la persona bisognosa, che bussava alla porta per essere sfamata o per essere vestita o per essere curata, per avere nella sofferenza un tetto ed un bicchiere d’acqua, aggiungendosi alle altre, si toccava con mano la Provvidenza per il modo spesso prodigioso con il quale interveniva tempestivamente” (Idem, 311). Ha lavorato, per circa un quarantennio all’Opera, in maniera disinteressata e gratuita: una lettera del 1983 al presidente dell’ASL di Catanzaro ci svela, quasi con pudore, questo particolare. “Il sottoscritto, in questo ormai quarantennio di vita dell’Opera, vi ha per la maggior parte lavorato disinteressatamente e gratuitamente anche in compiti che sono stati al di fuori del settore strettamente sanitario e solo quando, trovandosi naturalmente inserito in una operosità crescente nella programmazione e nello sviluppo, le condizioni lo permisero, fu sollecitato dal fondatore ad accettare qualcosa non a titolo di stipendio, ma di rimborso spese, tenuto conto dei tempi e delle esigenze familiari. Nonostante questo, il sottoscritto continuò a restituire quanto gli veniva corrisposto, tanto che, dopo il trasferimento delle assistite a Santa Maria, con le somme restituite e quelle che si continuavano ad aggiungere, fu possibile dotare il complesso di un moderno e completo gabinetto odontoiatrico” (Idem, 335).

Essere prossimo
È necessario anche ripensare i rapporti personali con l’altro in chiave personalistica, per arrivare a pensare (o ripensare) l’alterità in chiave di prossimità. L’altro non può essere inteso soltanto come l’altro da me (il distinto), perché egli è anche l’altro di me, colui che partecipa, insieme a me, al mistero della nostra comune umanità. L’altro da me va ripensato come altro di me, sotto il segno di una coappartenenza. A questo proposito può essere di stimolo quella massima evangelica: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Questo dono reciproco di sé all’altro (e nell’altro), fino alla realizzazione della «koinonia», si rende oggi necessario per garantire il futuro dell’umanità. Bisogna recuperare la dimensione oblativa dell’agàpe, che evangelicamente significa il «perdere la propria vita»  per l’altro e nell’altro: il «donare donandosi», cioè l’amore concreto per l’altro, inteso come apertura, comprensione, solidarietà e condivisione. Esso costituisce la garanzia di una relazione nuova e duratura, non contaminata da pregiudizi e giudizi troppo umani, che inquinano il rapporto genuino con i nostri prossimi. Se lo si perde, la società si contrae e al posto del concetto di persona entra quello di individuo. Oggi è esaltata la vita del single, perché dal concetto di persona si è passati appunto a quello di individuo, l’uomo che non è in dialogo con un “tu”. Tuttavia, per entrare nella vita di ciascun prossimo bisognerà passare attraverso colui che è prossimo a tutti e più prossimo a ciascuno di loro: Gesù Cristo, «Rivelatore dell’uomo all’uomo» (GS 22), Dono totale per noi, principio e forza del nostro donarci agli altri per amore. Quando il nostro essere-con-gli-altri si trasforma nell’essere-per-gli-altri, siamo più vicini a noi stessi e nello stesso tempo più vicini alla pienezza dell’umanità:il Cristo. Egli è il luogo concreto in cui Dio fa pienamente sua la nostra umanità. Con Lui Dio assume il volto dell’uomo (Fides et ratio, 12). Ispirarsi a Lui è anche voler riaffermare l’esigenza della cultura veramente umanistica. Senza orientamento alla verità, ogni cultura si sfalda e decade nell’effimero e nel relativo.
Questo concetti profondamente interiorizzati, vissuti e agiti dal Dr. Gentile, gli hanno suggerito quale fosse la ratio che deve ispirare il politico cristiano, ovvero come deve esercitare il ruolo nella vita e nell’amministrazione della pòlis.
 Leggiamo direttamente il suo pensiero: «(I cattolici) come cittadini partecipando a pieno diritto – che è poi anche un dovere – alla vita politica in tutte le sue forme, devono, come cristiani e come cattolici, specialmente se rivestiti di mandato o suffragi, testimoniare ed affermare lo spirito cristiano di verità, di umiltà, di unità, di moderazione, rispecchiando l’anima stessa della Chiesa. Ma nel far questo non si devono limitare ad una funzione di mediazione, che non sarebbe né creativa, né propulsiva della vita sociale, ma devono svolgere una funzione di sintesi, che, partendo da una visione superiore, si fonda su principi vitali e segue una linea programmatica ben definita ed adeguata alle effettive possibilità di realizzazione storica, secondo una meta di ordine e di socialità, tenendo conto che il fine da raggiungere è una democrazia politica e sociale caratterizzata dal primato dell’uomo-persona, ma nel servizio del bene comune» (Idem I, 228).
Sono certo che la testimonianza di vita e il pensiero del dott. Gentile possano offrire un valido contributo al rovesciamento della natura lupesca dei rapporti sociali e all’implantazione della logica della vera humanitas: amore oblativo, reciprocità, gratuità, condivisione, solidarietà.

Devozione mariana
1954: Le ospiti dell'Opera Pia accanto all'Immacolata
Un ultimo aspetto, dolcissimo, merita non solo di essere menzionato ma ricordato, annotato e seguito: la sua devozione infinita, soave, filiale alla Madonna. Bellissime e profonde le sue meditazioni sul Rosario, nelle quali emerge sempre la sua formazione medica: la pia pratica della recita del rosario, alla quale era particolarmente legato, non è per lui solo un atto di devozione a Maria, ma anche l’occasione per celebrare la grandezza della dignità di ogni essere umano.
Nell’introduzione delle sue meditazioni scrive: “La pia pratica dei quindici misteri del Rosario, tanto gradita a Maria SS.ma e da Lei direttamente raccomandata mediante apparizioni e segni soprannaturali, esercita un fascino particolare ed offre una ricchezza inesauribile di riflessioni, meditazioni, suggerimenti attraverso la tematica ed il significato profondo che ciascun mistero racchiude in sé … nell’invocarla con questa devozione, avvalendomi di quanto prova e documenta la scienza, ho trovato nelle considerazioni dei misteri, quella conferma che oggi non si vuole riconoscere o si tenta di disconoscere cioè la dimostrazione della vita quale dono di Dio”. Egli può così scandire la successione dei misteri: i misteri della gioia, la vita viene da Dio; i misteri del dolore, la morte è una tappa della vita; i misteri della gloria, la vita ritorna a Dio. “Su quella vetta insanguinata Cristo crocifisso e Maria con il suo cuore trafitto ai piedi della Croce stessa di Gesù sono uniti per la redenzione del genere umano: in questo estremo sacrificio rimane anche racchiuso il significato del valore della vita umana; in quanto se la vita umana non avesse avuto tale valore, non avesse trovato quale unica ragione l’appartenenza a Dio, certamente al sacrificio sarebbe mancata la logica” (Idem, 276).
+ Vincenzo Bertolone
Arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace



[1] Una vita per amore, I-II, Catanzaro 2006. Nel primo volume (Il pensiero del dott. Raffaele Gentile su molteplici segni dei tempi) vengono raccolti una serie di scritti di Gentile: conferenze, saggi su illustri uomini di Chiesa, sulla politica locale e nazionale, sulla spiritualità e sulla fondazione di Villa Betania, sulla vita della Chiesa diocesana ed elogi funebri. Il secondo volume (Testimonianze per ricordare il dott. Raffaele Gentile nella verità e nella missionarietà) invece raccoglie le testimonianza dei concittadini: uomini comuni e uomini di alta levatura che ricordano l’uomo, il medico, il cristiano.
[2] È la frase pronunciata a conclusione della presentazione dei due volumi dedicati al dott. Gentile presso l’aula magna del Seminario Teologico Regionale «S. Pio X» e riportati da G. SCARPINO, L’identità di un professionista missionario, «Comunità nuova», Natale 2006, p. 3.
[3] Cfr. Z. BAUMAN, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma-Bari 2009.
[4] R. FACCIOLO. Presentazione, in: Una vita per amore, I, Catanzaro 2006, 5. Nel saggio Scienza e fede in Giuseppe Moscati il dott. Gentile scrive: «La carità del prof. Moscati non è l’elemosina, non è neppure la prestazione sanitaria arida e gratuita, che, come tale, non ha senso e non ha merito, ma è la carità nel suo significato paolino, la carità quale è espressa nel comandamento nuovo: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi» (ivi, 143). Cfr. anche il saggio: Antonio Lombardi, profeta e modello di santità per i laici del nostro tempo, ivi,167-177.
[5] Sono ancora le parole di mons. A. CILIBERTI alla conclusione del 1° Convegno di studi sul dott. Gentile, riportate da G. MAURO, Una solida spiritualità cristiana tra memoria e profezia, «Comunità Nuova», 16 gennaio 2011, p. 4.
[6] Mi permetto di segnalare solo alcuni studi a riguardo: J.-L. MARION, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, Torino 1997; S. PALUMBIERI, Amo dunque sono. Presupposti antropologici della civiltà dell’amore, Milano 1999, R. MANCINI, Il dono del senso. Filosofia come ermeneutica, Assisi 1999; H. KASJANIUK, La vita consacrata nella prospettiva dell’amore come dono (Dissertatio ad Lauream in Facultate S. Theologiae apud Pontificiam Universitatem S. Thomae in Urbe), Roma 2000; J.CH.LEROY, Il fatto di donare. Esplorazione dei fatti delle parole degli esempi dei gesti del fenomeno oblativo tra persona e persona, Siena 2001; D. PANCALDO, L’amore come dono si sé. Antropologia filosofica e spiritualità in Edith Stein (Dissertatio ad doctoratum in Philosophia – Pontificia Universitas Lateranensis), Roma 2003.
[7] “UNA VITA PER AMORE”, cit. 359.
[8] È quanto hanno messo in rilievo alcuni studi recenti. Ne richiamo cinque: A. MALO, Antropologia dell’affettività, Roma 1999; P. ZUCCHI (a cura di) Compendio di semantica del dolore. Dolore, fede, preghiera, Firenze 2001; C. ROCCHETTA, Teologia della tenerezza. Un «vangelo» da riscoprire, Bologna 2002; R. ESCLANDIA - F. RUSSO (a cura di), «Homo patiens» Prospettive sulla sofferenza umana, Roma 2003; G. CINA’ (a cura di), Dio è amore, ma può soffrire? «Deus caritas est», ovvero il «pathos» di carità, Torino 2008.

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